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Un testo teatrale, poetico e saggistico allo stesso tempo, nel quale l'autore ripercorre i crimini compiuti durante la colonizzazione italiana in Africa e nel corso delle due guerre mondiali, "perché quei crimini ci hanno permesso di diventare uno dei Paesi più ricchi e potenti del mondo", e propone riflessioni critiche sul modello di sviluppo del nostro Paese. I dialoghi e i monologhi proposti, in maniera semplice e diretta, raggiungono il cuore del problema: "Il capitalismo moderno, la nostra ricchezza, il predominio occidentale sul mondo... tutto è cominciato con la tratta degli schiavi neri. (...) Abbiamo maggiore progresso, maggiore cultura, maggiore rispetto dei diritti umani, dei nostri diritti umani. Liberté, égalité, fraternité. Sì, per noi, ma non per gli altri. Gli altri possono pure crepare in mare: sono nostri schiavi. (...) Abbiamo conquistato il mondo, abbiamo rubato tutto quello che era possibile rubare (e lo facciamo ancora), abbiamo reso schiavi i suoi abitanti e li abbiamo messi gli uni contro gli altri, acutizzando le rivalità esistenti o fomentando nuovi odii. (...) Tutti noi traiamo beneficio da queste atrocità. Noi consumatori."